
“Non mi sono mai considerato un presidente padrone – spiegò un giorno l’ex Numero Uno del Monza al giornalista Mario Bonati, redattore de Il Cittadino, nel corso di un’intervista pubblicata parecchio tempo dopo quel suo mitico quinquennio al vertice dirigenziale dal bisettimanale brianzolo in un articolo dal titolo ‘Enzo Radaelli biancorosso antico’, con chiaro riferimento al noto e pregiato aperitivo creato agli inizi degli anni Sessanta –, bensì un rappresentante della tifoseria con il compito di tener legata la squadra alla città. L’esperienza collegiale del ‘comitato di reggenza’ ha aperto un’era calcistica molto fortunata per i colori monzesi. Sbocciarono in tal modo i talenti di Claudio Sala, Castellini, Perego, tanti giocatori approdati in Serie A e, addirittura, in Nazionale. Tra i ricordi più belli della mia esperienza da presidente: la vittoria nello spareggio di Bergamo battendo il Como. Il Monza riconquistò la Serie B. E poi, lo splendido rapporto con la piazza, allora tenuta in grande considerazione. Quell’esperienza è figlia del mio tempo. Il calcio oggi è diventato un affare planetario. Ed è sempre più difficile accedere a una tifoseria di carattere locale. Il modello da seguire è quello di Parma. A Monza non fanno certo difetto aziende del calibro di quelle presenti nella città emiliana, ma non tutti decidono di adottare le stesse strategie professionali. Del resto, oggi come oggi, Monza è una città sacrificata. Una città che ha rinunciato a esercitare il suo tradizionale ruolo di leadership.’’.
A trent’anni dall’esonero dalla panchina biancorossa, la pace tra Radice e Radaelli
Dopo circa trent’anni senza più parlarsi dal 23 febbraio 1968, giorno dell’esonero del tecnico di Cesano Maderno dalla panchina biancorossa, Enzo Radaelli e Gigi Radice fecero la pace, grazie alla fattiva opera dell’altro ex presidente monzese Aurelio Cazzaniga e dell’ex direttore generale Ariedo Braida, in occasione della festa per la seconda promozione in ‘B’ conquistata dal trainer lombardo il 15 giugno 1997, vincendo lo spareggio play-off contro il Carpi allo stadio Luigi Mazza di Ferrara (3-2 per i brianzoli il risultato finale). I due personaggi ebbero, ancora, una vita intensa, cessando di vivere entrambi dopo una lunga malattia e un estenuante ricovero. Gigi Radice chiuse per l’ultima volta gi occhi il 7 dicembre 2018, presso la RSA San Pietro di Monza. Enzo Radaelli, che il 24 giugno 1969, pochi giorni dopo il termine della sua positiva esperienza come presidente dell’AC Monza, era stato inserito nel Comitato d’onore del prestigioso Trofeo ‘Ambrogio Ferrazzi’, morì nel secondo weekend di giugno del 2023 e il funerale fu celebrato lunedì 11 nello storico Santuario della Madonna delle Grazie.
La grande amicizia tra il velocista Armando Sardi e il tecnico di Cesano Maderno
A proposito di Gigi Radice, pochi sono a conoscenza del fatto che il primo ad accorgersi della sua grave malattia, o meglio che qualcosa nella sua testa non funzionava più regolarmente, fu l’atleta Armando Sardi, nato a Monza il 15 settembre 1940 e morto pochi giorni prima di Natale del 2023. Il velocista, per anni in gara con la gloriosa maglia bianconera della società locale Forti e Liberi, rappresentò l’Italia ai Giochi Olimpici estivi di Roma 1960, dove venne eliminato in batteria nei 200 metri piani dominati da Livio Berruti. Con quest’ultimo, con Pier Giorgio Cazzola e con Salvatore Giannone, Sardi si piazzò, poi, al quarto posto nella staffetta 4×100 metri, concludendo la prova a un centesimo dal quartetto britannico, premiato con la medaglia di bronzo (ai Giochi del Mediterraneo di Napoli 1963, il monzese volante vinse, però, l’oro nella staffetta 4×100 con Berruti, Giannattasio e Ottolina e l’argento nei 200 metri, oltre a conquistare, nello stesso anno, il titolo di campione d’Italia nella medesima specialità). Ebbene, lo sprinter monzese, negoziante di biciclette con il padre Luigi, quest’ultimo per una vita figura di primo piano nella direzione della gloriosa società Pedale Monzese, detentore di sette titoli italiani assoluti, più 176 Master, due record nazionali e 28 presenze in maglia azzurra, era molto amico di Gigi Radice, con il quale amava fare settimanalmente salutari corse, per diversi chilometri di percorrenza, sui sentieri del Parco, entrando immancabilmente dalla porticina posta nei pressi del Santuario della Madonna delle Grazie, appena passato il ponticello sul Lambro e uscendo, al termine dell’allenamento, dallo stesso passaggio. Un giorno, nell’anno 2005, alla fine dell’ormai abituale percorso, al posto di girare come al solito a destra l’ex allenatore di Cesano Maderno piegò decisamente e inspiegabilmente sul lato opposto della via, cambiando la solita direzione finale di marcia. Alla richiesta di spiegazioni da parte del sorpreso amico, Radice, impaurito e alquanto scosso, confessò di non ricordare nulla di quanto fatto pochi secondi prima e di non avere così una risposta logica da poter fornire sulla inconsapevole ed errata mossa effettuata. Fu così che, avvertita subito della cosa la moglie Nerina da parte del preoccupatissimo Sardi e, dopo adeguati esami clinici imposti dai medici, ne uscì per lui una diagnosi raggelante: morbo di Alzheimer. La progressiva e sempre più acuta perdita di memoria, aggiunta a una complicata operazione all’anca, con le problematiche derivate dall’inevitabile anestesia, portarono il buon Gigi a una condizione precaria di vita, con la badante sempre al fianco e, dopo alcuni anni, verso una triste fine nella RSA non molto distante dal suo amato Parco, lontano da tutti gli amici, compreso il compagno di sgambate Armano Sardi, invitato dalla moglie a non fargli visita, ma a ricordarlo semplicemente al suo fianco in mezzo al verde, con il fiato spesso corto, ma sempre con tanta gioia nel cuore. Io, invece, vidi per l’ultima volta in vita Gigi Radice, un giorno di settembre del 2018, circa tre mesi prima della sua scomparsa, alla RSA San Pietro di Monza, nelle vicinanze del Rondò dei Pini, dove da anni era ricoverato, come del resto mia madre, per gravi problemi di Alzheimer. Lo riconobbi a stento, magro, volto scavato, schiena incurvata, solo, seduto su una sedia a rotelle, mentre guardava perso l’infinito dai grandi finestroni ai lati del lungo corridoio, davanti all’ingresso del bar della casa di riposo. Gli sorrisi e mi venne spontaneo un tentativo, poi subito rientrato, di allungargli amichevolmente una mano, ma lui era ormai troppo lontano con la testa, proiettato in un nuovo misterioso mondo, non certo calcistico. Cessò di vivere circa tre mesi dopo quell’occasionale incontro surreale presso la struttura assistenziale, dove, poi, ebbero luogo anche i funerali, alla presenza, tra gli altri, del presidente del Torino Urbano Cairo e di numerosi ex calciatori protagonisti dello scudetto granata del 1976.
(Fine quarta parte)
Enzo Mauri
Nella foto: la rosa biancorossa nella stagione 1967/68, sotto la presidenza di Enzo Radaelli.