Enzo Redaelli, una vita ‘infuocata’ tra hockey e calcio biancorosso (3a p.)

‘‘A fine agosto del 1988 i vertici della società biancorossa, con in testa il presidente Valentino Giambelli – spiega Enzo Redaelli -, volevano a tutti i costi inaugurare lo stadio Brianteo in occasione dell’arrivo a Monza della blasonata Roma, nonostante il periodo di ferie in corso e alcuni lavori ancora da ultimare in diversi settori della struttura. Io, in quei dannati giorni di fine agosto, mi trovai coinvolto in modo pazzesco nel progetto, lavorando dalla mattina alla sera, senza un attimo di tregua, al fine, soprattutto, di riuscire a ottenere i permessi mancanti, indispensabili per poter ospitare l’evento. Ricordo che i tempi erano ristrettissimi e che le chances di successo parevano svanire con il trascorrere delle ore. Poi, nonostante la struttura presentasse ancora delle carenze (mancavano all’appello, tra le altre cose, il collaudo degli ascensori, numerose opere di messa in sicurezza degli impianti e il completamento di una tribuna), riuscii in extremisa ottenere, miracolosamente, le carte necessarie per far aprire, domenica 28 agosto, le porte dello stadio, e consentire così l’accesso a giocatori e spettatori, per una grande serata di festa.

 

La prima grande soddisfazione da collaboratore dell’AC Monza

 

Proprio in quella circostanza, posso confessare d’aver provato la mia prima grande soddisfazione da collaboratore della società biancorossa. I contratti di concessione, di volta in volta sottoscritti dalle parti, prevedevano che la manutenzione ordinaria dell’impianto sportivo dovesse essere a carico dei gestori e quella straordinaria di pertinenza della proprietà. Ebbene, agli inizi degli anni Novanta, dopo poco tempo dall’inaugurazione, scadde il certificato di prevenzione incendi e, non avendo nessuno provveduto ad adeguare lo stadio alle normative in continuo aggiornamento, lo stesso non fu più rinnovato per parecchie stagioni calcistiche. Così, per anni, per tamponare la carenza, in occasione degli incontri presso la struttura di via Tognini, doveva sempre essere presente, a bordo campo, una squadra di Vigili del fuoco con l’autopompa. Con il trascorrere del tempo, di lavori al Brianteo ne furono eseguiti parecchi, ma, sempre, in modo approssimativo e con l’affanno dei dipendenti della sede biancorossa di dover rincorrere le normative, senza, il più delle volte, riuscire a rispettarle completamente. Tralasciando i problemi legati alla sicurezza del Brianteo e parlando di partite biancorosse, mi piace qui ricordare alcuni aspetti logistici riguardanti lo spareggio di Ferrara contro il Carpi, del 15 giugno 1997. Nella settimana precedente il match, mi recai personalmente in Lega Calcio, a Firenze, per discutere la designazione dello stadio dove si sarebbe dovuto giocare l’importante incontro. Ero perfettamente a conoscenza del fatto che il nostro presidente Valentino Giambelli non amava proprio la piazza di Ferrara, ma, non essendoci altre valide alternative disponibili al momento, alla fine, nella riunione in Toscana, per non creare antipatici contrasti, accettai questa destinazione propostaci dai vertici calcistici nazionali. Posi, però, una condizione irrinunciabile per la società biancorossa, quella che ai tifosi brianzoli fosse assegnata di spettanza, per seguire la partita, la curva ovest del ‘Mazza’, che io sapevo, per ricorsi storici, di loro gradimento. Il Monza, guidato da Gigi Radice s’impose, poi, nella città emiliana, con il risultato di 3-2, con le reti di Pietranera, Cancellato e Asta. Al termine della trionfale gara, gli sportivi biancorossi mi ringraziarono molto per questa attenzione riservata a loro e così, doppiamente felice, potei tornare gongolante nel ritiro di Occhiobello, un paesino distante una decina di chilometri da Ferrara, a festeggiare il ritorno in Serie B della mia squadra dopo tre stagioni d’attesa. Per quanto riguarda gli allenatori con i quali ho collaborato da team manager biancorosso, devo dire che per me il più esigente di tutti è stato Nedo Sonetti, mentre il più goliardico figurava sempre essere Giorgio Rumignani. Quando il calcio d’inizio dell’incontro toccava al Monza, quest’ultimo imponeva ai suoi giocatori di scaraventare la palla il più lontano possibile, senza cercare il passaggio al compagno di squadra più vicino, cosa più logica.

 

Il ‘tiro-simpatia’ voluto da Rumignani per far sembrare i biancorossi poco bellicosi agli avversari

 

Questo, a suo dire, per far percepire subito agli avversari le intenzioni poco bellicose dei ragazzi biancorossi, nella speranza di favorire così un adeguamento sull’altro fronte, al fine di correre meno rischi possibili per tutto il match. Rumignani credeva talmente tanto in questa strana strategia da definire negli spogliatoi la mossa… il ‘tiro-simpatia’. Di Bruno Bolchi ricordo una sua precisa e piuttosto curiosa volontà, con i motivi rimasti però sempre misteriosi: durante i ritiri in trasferta, in albergo, ai giocatori doveva necessariamente essere servita la colazione in camera e mai nell’apposita sala. Tra i trainer più umorali, non posso poi che mettere al primo posto Simone Boldini. Dopo una vittoria, contro qualsiasi avversario, il tecnico bresciano si esaltava come un pazzo ma poi, alla prima sconfitta, anche al cospetto di una forte formazione di vertice, era capace di non parlarmi per giorni, come se la colpa della défaillance in campo dei giocatori fosse dipesa dal mio operato o da quello dei colleghi di sede, costretti a subire lo stesso trattamento.

 

Gaetano Salvemini si perdeva sempre per strada dal Monzello alla sua casa di Arcore

 

Gaetano Salvemini, invece, arrivò a Monza nel 2001, come ultima tappa della sua carriera da allenatore. Bravo da bordo campo, lontano dalla panchina, spesso si distraeva, smarrendo così la dovuta concentrazione e mostrando degli atteggiamenti poco consoni a una persona normale. Abitava ad Arcore e, tornando dagli allenamenti al Monzello, aveva il vizio di perdersi per strada. Frastornato, non conoscendo la zona dove veniva involontariamente a trovarsi, bloccava la sua auto nel primo parcheggio disponibile e, per cercare un rimedio, non trovava mai di meglio che telefonarmi. Mi indicava, leggendo il segnale stradale, il nome della via da dove mi chiamava e, guardando le insegne pubblicitarie, la tipologia dei negozi vicini, con la preghiera di andarlo a recuperare al più presto. Io abbandonavo l’ufficio e, una volta arrivato con la mia vettura nel posto indicato, mi mettevo davanti e lui, seguendomi con il suo mezzo, riusciva, così, a raggiungere finalmente la propria casa. Gaetano Salvemini, un vero signore, è morto all’età di 82 anni, nel settembre del 2024, all’ospedale di Guastalla, vicino a Gualtieri, dove risiedeva, in provincia di Reggio Emilia.’’.

 

(Fine terza parte)

 

Enzo Mauri

 

(Nella foto: Enzo Redaelli, primo a sinistra, insieme a Gianluigi Maggioni e Giuliano Terraneo nel 1996)